Leasing traslativo: inapplicabilità della legge n. 124 del 2017 alla luce della Cass. Sez. Unite, sentenza n. 2061/2021.

La legge non dispone che per l’avvenire, essa non ha effetto retroattivo. E’ questo il principio su cui si fonda la decisione della Corte di Cassazione la quale, nella sentenza n. 2061/2021, ha dovuto risolvere un quesito di diritto legato alla applicabilità o meno della legge n. 124 del 2017 a quei contratti di leasing in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore, previsti peraltro dal comma 137 della legge summenzionata, non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore.

Ma prima di entrare nel merito della questione, è opportuno rammentare i principi regolatori della disciplina del leasing quale contratto di finanziamento di origine anglo-americana.

Il leasing è un contratto di finanziamento sviluppatosi nella prassi commerciale dei sistemi di common-law agli inizi degli anni 50 del secolo scorso. Tale contratto, data la sua praticità è stato importato nei sistemi di civil law trovando tipizzazione all’interno dei vari ordinamenti. Nel nostro ordinamento, sino al 2017, il leasing era considerato un contratto atipico sicché, i profili genetici, esecutivi e patologici venivano disciplinati mediante il rinvio ai principi consolidati per altre forme contrattuali già tipizzate.

Il leasing è un rapporto contrattuale formalmente bilaterale, ma nella prassi è molto frequente la presenza di una terza parte. Ed infatti, vi sono un soggetto definito concedente (nella prassi commerciale è usuale che esso sia una società di intermediazione finanziaria o di leasing) che reperisce il bene, oggetto del contratto, sul mercato, acquisendolo da un soggetto economico ed, infine, vi è l’utilizzatore al quale viene concesso il bene dietro il pagamento di un canone. Nel contratto viene inoltre inserito un diritto di opzione per l’acquisto della proprietà al pagamento della maxi rata finale.

Le ragioni che spingono un soggetto a voler stipulare un contratto di leasing sono varie: si pensi ad un imprenditore il quale, non volendo immobilizzare ingenti somme di capitale per l’acquisto di macchinari, contrae un leasing ammortizzando i costi in un certo lasso di tempo, sicché, tale contratto risulta essere nella prassi una forma di finanziamento.

Tralasciando in questa sede le considerazioni legate alla possibilità che le parti possono nascondere una vendita a scopo di garanzia, diretta ad eludere il divieto del patto commissorio, si concentri l’attenzione sulla distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo.

La Giurisprudenza di legittimità è costante nel definire il leasing di godimento come forma di contratto in cui il rapporto ha essenzialmente una funzione di finanziamento a scopo, per l’appunto, di godimento e, quindi, con una previsione dei canoni su base eminentemente corrispettiva di tale scopo, essendo marginale ed accessoria la pattuizione relativa al trasferimento del bene alla scadenza dietro pagamento del prezzo d’opzione. Mentre per quanto concerne il leasing traslativo, è definito dalla giurisprudenza come contratto in cui il rapporto è indirizzato anche al trasferimento del bene, in ragione di un apprezzabile valore residuo di esso al momento della scadenza contrattuale, notevolmente superiore al prezzo d’opzione, mostrando i canoni anche la consistenza di corrispettivo del trasferimento medesimo.

Effettuate tali premesse di carattere generale, il Legislatore del 2017 con la legge n. 124, ha tipizzato il leasing superando la tradizionale differenziazione che da decenni lo ha contraddistinto prevedendo una disciplina unitaria.

Il tema affrontato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza oggetto di analisi, si basa sulla possibilità o meno di applicare la disciplina di cui ai commi 136-140, art. 1, l. n. 124/2017, ai contratti di leasing finanziari in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore (applicazione retroattiva). Nel caso di specie, la società di leasing concedeva in locazione finanziaria, un capannone industriale ad un’altra società. Successivamente, il contratto di leasing stipulato scadeva e la società utilizzatrice non aveva esercitato il diritto di opzione per l’acquisto del capannone, né corrisposto le ultime rate dovute in base al programma contrattuale. Sicché, la società concedente richiedeva, a norma della clausola risolutiva contenuta nel contratto di leasing, il pagamento delle rate insolute e, successivamente, otteneva l’emissione di decreto ingiuntivo per il relativo importo. Ciò detto, la società utilizzatrice veniva dichiarata fallita, sicché, la società di leasing oltre a rivendicare il bene concesso in leasing, aveva chiesto l’insinuazione al passivo fallimentare per i canoni scaduti e non pagati più gli interessi moratori. L’istanza relativa all’ammissione del credito per canoni insoluti, veniva rigettata dal giudice delegato in ragione del fatto che, essendosi risolto il rapporto prima della dichiarazione di fallimento, doveva ritenersi applicabile l’art. 1526 c.c. , in forza del quale al concedente era dovuto soltanto un equo compenso per l’uso della cosa che nel caso di specie non era stato domandato. Pertanto, la società utilizzatrice aveva versato, nel corso del rapporto, un ammontare ben superiore a quello corrispondente all’equo compenso calcolato. Tralasciando le ragioni ed i vari motivi di ricorso per Cassazione presentato dalla società di leasing, la sezione rimettente chiedeva alle Sezioni Unite, la risoluzione di un quesito di diritto di vitale importanza ovverosia: “se possa applicarsi in via analogica, anche solo per analogia iuris, una norma inesistente al momento in cui venne ad esistenza la fattispecie concreta non prevista dall’ordinamento; ed in caso affermativo se, con riferimento al caso di specie, tale norma da applicarsi in via analogica possa ravvisarsi nell’art. 72-quater L. fall.” Le Sez. Unite riconoscendo l’esistenza di due orientamenti contrastanti tra di loro, ritengono che non si debba dar seguito a quello più recente, inaugurato dalla sentenza n. 8980 del 2019, il quale è incline a valorizzare, in via interpretativa, proprio la novella della legge n. 124 del 2017, giungendo alla conclusione che, in ragione dell’innovazione del quadro normativo di riferimento, l’art. 1526 c.c. non possa trovare applicazione nel caso di risoluzione per inadempimento dei contratti di leasing, traslativi o di godimento che siano, in quanto è stata superata la tradizionale distinzione, di origine pretoria, tra leasing traslativo e di godimento, quali figure ora accomunate in una regolamentazione unitaria e a vocazione generale anche quanto ai stabiliti effetti della risoluzione per inadempimento da parte dell’utilizzatore. Pertanto, secondo tale indirizzo, gli effetti delle novità normative si riverberano anche sui contratti cui esse non sarebbero applicabili ratione temporis: non già per effetto di una non consentita applicazione retroattiva, ma per effetto di una interpretazione storico – evolutiva, secondo cui una determinata fattispecie negoziale non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi ora per allora, ma all’attualità, e ciò sul presupposto che, sino al definitivo accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, non si siano esauriti i relativi effetti. Pertanto, le Sez. Unite ritengono che debba essere applicato l’orientamento risalente in ragione del quale ha costantemente tratto dall’articolo 1526 c.c., in forza di interpretazione analogica, la disciplina atta a regolare gli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di leasing (traslativo) verificatasi prima dell’entrata in vigore della L. 124/2017 e del fallimento dell’utilizzatore resosi inadempiente.

Pertanto, il principio che le Sez. Unite applicano al caso di specie, risolutivo della questione sollevata dalla sezione rimettente è del seguente tenore: “La legge n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all’art. 1526 c.c. e non quella dettata dall’art. 72-quater L.fall., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all’analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad un’applicazione retroattiva della legge n. 124 del 2017″.

In conclusione, il problema che la Cassazione, nell’esercizio della sua funzione nomofilattica, si è trovata a risolvere è addebitabile ad una disattenzione del Legislatore il quale ancora una volta, nell’emanazione di una legge modificativa di una disciplina precedente, non ha tenuto conto del fatto che vi sono situazioni pendenti che non possono essere disciplinate dalla nuova riforma legislativa sicché, sarebbe stato preferibile se lo stesso avesse emanato, insieme alla legge n. 124 del 2017, una serie di norme di carattere transitorio volte a disciplinare casi border line (come quello appena analizzato).

Dr Maurizio Muto – Junior Trainee Lawyer – Studio Legale Associato Lacava & Spina

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