La giustizia è una priorità per tutti ed il valore connesso all’amministrazione della giustizia è assolutamente indifferibile nell’ambito del rispetto dei diritti umani.
Volendo circoscrivere un tale tema così ampio e diffuso, ci si sofferma, senza pretese dogmatiche e velleità dottrinarie, su un argomento di pregnante attualità, qual è quello del “diritto” alla presunzione di innocenza ed all’equo processo, da celebrarsi necessariamente nelle aule di giustizia e non sui media in quello che possiamo definire il “giudizio mediatico parallelo”.
Il discorso non vuole essere semplicemente moralistico, bensì aprire orizzonti veritativi, presentando archetipi, trascendendo le ambiguità e denudandole di fronte all’esemplarità che è l’etica dei fatti umani, ed è intuitivamente acuto da parte di chi sa esprimere, dentro le storture, il sogno, per dirla parafrasando il grande calabrese Antonio Anile, della “bellezza e della verità delle cose”.
La nostra Costituzione, all’articolo 27, afferma in modo incisivo che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
La ratio della norma, come risulta chiaro dalla lettura dei lavori preparatori alla stesura della stessa, è quella di riaffermare e garantire la scelta di tutela del singolo e della sua persona in un sistema civile e democratico, una forma di garanzia della libertà individuale ed un impedimento di quell’arbitrio che si potrebbe verificare qualora l’imputato fosse già considerato come qualificato in senso negativo dalla società, riportando le testuali parole del padre costituente Aldo Moro.
La presunzione di innocenza, in quanto pietra angolare del giusto processo penale, è un principio garantito non solo a livello costituzionale ma, altresì, nelle convenzioni internazionali (articolo 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici ed articolo 11 Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) e nel diritto europeo. Nell’ambito di quest’ultimo, il principio di non colpevolezza è riconosciuto sia nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Art. 6§2 CEDU) che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 48§1 CDFUE).
Ora, come spesso accade, quindi, le norme esistono, sono chiare e precise e non si prestano a dubbi interpretativi, ma il problema sorge sul campo, quando queste norme ed i principi in esse contenuti devono essere concretamente rispettati.
Nel nostro paese, e questo è un dato oggettivo, i processi mediatici e la contestuale e conseguente violazione dei principi sopra ricordati, sono all’ordine del giorno.
Non esiste fatto di cronaca che non sia “processato” sui media prima ancora che nelle aule di giustizia.
È spasmodica ed incessante la raccolta di dichiarazioni, informazioni, atti dei procedimenti penali che vengono valutati e “giudicati” dagli operatori del settore al fine di ricostruire la dinamica dei fatti criminali allo scopo (sotteso e non dichiarato) di giungere all’accertamento delle responsabilità penali coram populum!
Nel maggior parte dei casi i riflettori vengono puntati sulle fasi degli arresti e delle indagini preliminari, dunque sulle tesi di chi accusa, piuttosto che sulla fase successiva – quella del dibattimento – a cui il nostro legislatore ha riservato la funzione più importante della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti.
Tutto ciò ovviamente non senza devastanti conseguenze per i soggetti coinvolti: nell’attimo stesso in cui atti di indagine, per legge coperti da segreto istruttorio, finiscono alla mercé dei giudici mediatici, capaci di applicare in molti casi il loro pseudo codice morale, e non certamente il codice penale, dall’altro lato c’è una vita umana che ne esce distrutta.
La più grave e dannosa conseguenza è la lesione dei diritti al vivere proprio di ogni soggetto: la lesione all’immagine, al nome, all’onore, alla reputazione, alla riservatezza, lesioni queste che vanno ad incidere sul “fare” del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per l’espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.
Lo riconosceva, tristemente, già Francesco Carnelutti, il quale nel 1957 affermava “il processo medesimo è una tortura. Fino a un certo punto […] non si può farne a meno; ma la cosiddetta civiltà moderna ha esasperato in modo inverosimile e insopportabile questa triste conseguenza del processo. L’uomo, quando è sospettato di un delitto, è dato ad bestias, come si diceva una volta dei condannati dati in pasto alle fiere […]. L’articolo della Costituzione, che si illude di garantire l’incolumità dell’imputato, è praticamente inconciliabile con quell’altro, che sancisce la libertà di stampa. Appena sorto il sospetto, l’imputato, la sua famiglia, la sua casa, il suo lavoro sono inquisiti, perquisiti, denudati alla presenza di tutto il mondo”.
Tuttavia, ad essere compromessa non è solo la reputazione, la vita privata e la stessa dignità della persona, ma l’idea stessa di equità del processo e della pena e quindi la stessa fiducia del cittadino nella giustizia e nelle istituzioni.
È chiaro, non si tratta di un problema solo italiano, ma, nel nostro sistema, a differenza di altri, la situazione è più grave a causa sia di una debole tenuta dell’obbligo di segretezza in fase di indagine e del divieto di pubblicazione di atti e immagini del procedimento penale, sia a causa della spettacolarizzazione delle notizie concernenti i procedimenti penali nei giudizi mediatici paralleli.
La presunzione di innocenza, difatti, è spesso dimenticata e sostituita con una condanna mediatica a priori, spesso irreversibile.
Nella consapevolezza del carattere fondamentale che gli stessi rivestono in una società civile e democratica nonché delle innumerevoli e sistematiche violazioni dei principi sopra enunciati, con la Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016, si è mirato a rafforzare alcuni aspetti della presunzione di innocenza.
In particolare, è stato previsto all’articolo 4 che gli Stati membri debbono adottare “le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o di un imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole”…. 3. L’obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico”.
Nonostante la Direttiva sulla presunzione d’innocenza sia stata inserita nella Legge di delegazione europea 2016-2017, l’Italia non ha ancora adottato alcuna misura legislativa finalizzata ad una trasposizione dei suoi principi nel nostro ordinamento, con le gravi conseguenze sopra descritte.
Ora, occorre che ognuno si riappropri con dignità del ruolo che gli compete, riflettendo e fornendo fattivi contributi alla crescita della cultura del diritto, del senso civico, del rispetto dei diritti.
Vogliamo, pertanto, sottolineare la “giustezza” di quanto, per convinzione e non per “vendetta”, merita di essere ricondotto nel giusto alveo.
Ora è il momento delle riforme coraggiose e dal costituendo governo e dal suo Presidente del Consiglio ci si attendono risposte a problemi impellenti del nostro sistema giudiziario.
L’ex vicepresidente del CSM Michele Vietti afferma: “Draghi è una figura di livello europeo, sa che l’UE si aspetta, tra le riforme e i progetti da finanziare, anche quelli che riguardano la giustizia. Draghi sa bene, grazie alla sua storia, che se non funziona la giustizia un paese non è competitivo, né attrattivo per gli investimenti. Conosce insomma perfettamente la stretta connessione tra sistema giudiziario e sistema economico”.
Ed è proprio Draghi che ricorda: “A cavallo tra le due guerre, in Germania, mio padre vide un’iscrizione su un monumento. C’era scritto: se hai perso il denaro non hai perso niente, perché con un buon affare lo puoi recuperare; se hai perso l’onore hai perso molto, ma con un atto eroico lo potrai riavere; ma se hai perso il coraggio, hai perso tutto”.
Solo il coraggio può salvare chi nonostante gli abusi continua a credere nei valori della Verità, della Giustizia e della Libertà.
Avv. Palma Spina – Senior Associate – Studio Legale Associato Lacava Spina
Avv. Rosa Lacava – Senior Associate – Studio Legale Associato Lacava Spina


