“1. È punito con la reclusione da uno a otto anni e con la multa da euro quattromila a euro diecimila chiunque, senza esservi abilitato ai sensi del presente decreto : a) svolge servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del risparmio; b) offre in Italia quote o azioni di OICR; c) offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento; c-bis) svolge servizi di comunicazione dati. 2. Con la stessa pena è punito chiunque esercita l’attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede senza essere iscritto nell’albo indicato dall’articolo 31. 2-bis. Con la stessa pena è punito chiunque esercita l’attività di controparte centrale di cui al regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione ivi prevista. 3. Se vi è fondato sospetto che una società svolga servizi o attività di investimento o il servizio di gestione collettiva del risparmio o i servizi di comunicazione dati ovvero l’attività di cui al comma 2-bis senza esservi abilitata ai sensi del presente decreto, la Banca d’Italia o la Consob denunziano i fatti al pubblico ministero ai fini dell’adozione dei provvedimenti previsti dall’articolo 2409 del codice civile ovvero possono richiedere al tribunale l’adozione dei medesimi provvedimenti. Le spese per l’ispezione sono a carico della società.” Di questo tenore è l’articolo 166 del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, d’ora in poi T.U.F., il quale disciplina pedissequamente il reato di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria.
Il reato in questione presenta alcune peculiarità che con il presente lavoro ci accingeremo ad analizzare. Ed infatti, il legislatore con la disposizione de qua ha voluto ampliare la tutela riconosciuta ai consumatori che concludono, per il tramite di intermediari finanziari, contratti su appositi strumenti finanziari, tutelando il loro legittimo affidamento sulla conclusione positiva dell’affare preso di mira. A tal fine, i beni giuridici tutelati dalla norma in questione sono molteplici ossia: 1) legittimo affidamento del consumatore; 2) libera concorrenza; 3) decoro della professione.
Per quanto attiene invece l’elemento soggettivo, la norma de qua prevede, per il compimento del reato il dolo specifico ossia la coscienza e la volontà di esercitare in modo abusivo “a) … servizi o attività di investimento o di gestione collettiva del risparmio; b) offrire in Italia quote o azioni di OICR; c) offrire fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza, prodotti finanziari o strumenti finanziari o servizi o attività di investimento; c-bis) svolgere servizi di comunicazione dati…”.
Mentre, per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato in questione, esso si concretizza nell’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione. Inoltre, è un reato a forma vincolata in quanto può essere posto in essere solo ed esclusivamente con quel tipo di condotta. Inoltre, è discussa la possibilità di realizzazione del reato de quo nella forma del tentativo ex art. 56 c.p. sul presupposto che essendo un reato di pericolo, se si ammettesse la forma tentata si incorrerebbe nell’ipotesi di anticipare troppo la soglia di punibilità scadendo nell’errore logico di punire il pericolo di un pericolo.
Ciò detto, in una recente sentenza la Corte di Cassazione, sulla natura del reato in analisi, ha affermato che: “in tema di esercizio abusivo di intermediazione finanziaria, è incontrastato approdo interpretativo quello secondo il quale integra la fattispecie delittuosa di cui all’art. 166 d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 la raccolta di denaro presso privati risparmiatori, senza autorizzazione amministrativa e senza l’iscrizione dell’intermediario nell’apposito albo (…), in funzione della conclusione di contratti aventi ad oggetto operazioni su strumenti finanziari per conto dei clienti sottoscrittori: ciò a condizione che l’attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di destinatari, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti e sia svolta professionalmente, ovvero in modo continuativo e non occasionale”(Cass. Pen. Sent. n. 155 del 2021).
Inoltre, sulla irrilevanza di un post factum non punibile e sulla natura di reato di pericolo la Suprema Corte, nella sentenza n. 155 del 2021 ha affermato che: “[non] rileva, agli stessi fini, l’effettivo impiego di quanto versato dal cliente nello strumento finanziario prospettato dal promotore abusivo, posto che ciò costituisce un post factum estraneo alla struttura del reato in questione (…): viene in rilievo, infatti, un reato di pericolo, con la conseguenza che, una volta che i risparmi del risparmiatore siano immessi nel mercato mobiliare dal soggetto non abilitato – e, quindi da soggetto idoneo a ledere l’interesse dell’investitore, del complessivo interesse del mercato mobiliare e dei singoli operatori – non ha rilevanza in quale modo – fedele o infedele – sia avvenuta la gestione dei risparmi dell’investitore (…)”.
La norma in questione, inoltre, non fa riferimento alle attività di consulenza prestata al fine di creare un cospicuo piano di investimento per il consumatore e, la Corte di Cassazione, nella sentenza sopracitata ha affermato che: “integra il delitto di esercizio abusivo dell’attività di intermediazione finanziaria anche l’attività di consulenza, prestata al fine di reperire un proficuo programma di investimento, accompagnata dal mandato del cliente, atteso che questa non è prodromica all’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria, consentita solo ai soggetti debitamente autorizzati, ma ne è parte integrante e come tale è disciplinata (…)”.
Orbene, comprese le caratteristiche del reato in questione cerchiamo di rispondere al quesito posto in epigrafe ossia se è possibile aversi un concorso tra il reato di cui all’articolo 166 T.U.F. e quello di truffa ex art. 640 c.p.
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 640, 1 comma, c.p. “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032“.
Il bene tutelato dalla norma in questione può ravvisarsi in particolare nella intangibilità dei beni patrimoniali, in connessione anche alla libertà di disporne al riparo da capziose intromissioni altrui (Fiandaca, Musco, PS, II, 172). È invero maggioritaria la ricostruzione della truffa in chiave di delitto plurioffensivo, posto non solo a tutela del patrimonio, ma anche della libertà del consenso e della autonomia della volontà (La Cute, Truffa (diritto vigente), in EG., Milano, 1992, XLV, 243, nonché Antolisei, PS, I, 364; Mantovani, PS, II, 198; Pagliaro, PS, III, 323).
La forma vincolata che caratterizza il delitto di truffa (Fiandaca, Musco, 172) è resa evidente dalla descrizione delle caratterizzazioni modali della condotta tipica (Zannotti) che deve constare di comportamenti, gli artifici o i raggiri, tali da cagionare una effettiva induzione in errore del soggetto passivo, così inducendolo a porre in essere un atto di disposizione patrimoniale che dovrà essere riguardato nella doppia ottica della produzione di un profitto per il soggetto attivo o per terzi e di un danno a sé o ad altri.
Inoltre il reato in questione è di danno, pertanto è ammessa la forma del tentativo ex art. 56 c.p. La dottrina pressoché uniforme ritiene che la qualificazione della truffa quale reato a forma vincolata, imperniato sulle condotte commissive sopra esposte di “artifizi” e “raggiri”, comporti giocoforza la incompatibilità della truffa con una realizzazione in forma omissiva. Infatti le nozioni di artifizio e raggiro risultano conciliabili, a rigore, solo con un comportamento attivo rivolto ad indurre altri in errore (Zannotti).
L’elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo generico posto che vi deve essere la coscienza e la volontà di trarre un ingiusto profitto, mediante artifizi o raggiri, con danno altrui. Mentre, per quanto concerne l’elemento oggettivo, la condotta deve estrinsecarsi nell’indurre taluno in errore, mediante artifizi o raggiri, per trarre un ingiusto profitto.
Ciò detto, per quanto riguarda i rapporti tra le due fattispecie criminose, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 155 del 2021, ha affermato che: “il reato di abusivismo, previsto dall’art. 166 d. lgs 24 febbraio 1998, n. 58 può concorrere con il reato di truffa, stante la sostanziale differenza esistente tra le due fattispecie, in quanto l’abusivismo è reato di pericolo, inteso a tutelare l’interesse degli investitori a trattare soltanto con soggetti affidabili nonché l’interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati; la truffa, invece, è reato di danno, che, per la sua esistenza, richiede l’effettiva lesione del patrimonio del cliente, per effetto di una condotta consistente nell’uso di artifizi o raggiri e di una preordinata volontà di gestire il risparmio altrui in modo infedele”.
Pertanto, è ammissibile un concorso tra le due fattispecie criminose stante la diversa natura delle stesse posto che il reato di abusivismo ex art. 166 T.U.F. ha la finalità di reprimere un pericolo mentre il reato di truffa ex art. 640 c.p. ha quale fine quello di evitare che si verifichi un danno al patrimonio del consumatore che ha fatto affidamento sul fatto che l’intermediario finanziario fosse autorizzato a compiere dette operazioni.
Dr Maurizio Muto – Junior Trainee Lawyer – Studio Legale Associato Lacava Spina


