Clausola di “Force Majeure” e “Frustration” del contratto nell’era COVID-19.

Il 2020 sarà un anno che non tutti dimenticheranno facilmente in quanto, la diffusione della nuova SARS-CoV-2 ha messo a dura prova non solo i presidi sanitari delle varie nazioni, ma anche la tenuta dei sistemi giuridici internazionali i quali si sono dovuti conformare alle nuove esigenze della società cercando di dare soluzioni ai problemi economici dovuti ai vari lockdown.

A livello giuridico, le riforme adottate dagli stati maggiormente colpiti dagli effetti della pandemia rappresentano un punto di partenza per avere ordinamenti più moderni ed all’avanguardia, maggiormente attenti ai bisogni dei consociati.

Nello specifico, la questione che sarà analizzata nel prosieguo della trattazione si basa sulle relazioni commerciali internazionali e di come le stesse siano state messe a dura prova dalla pandemia.

A livello statistico, si sono registrati innumerevoli inadempimenti contrattuali, spesso dipesi dal fatto che molti operatori economici, colpiti duramente dalle varie restrizioni nazionali, non erano in grado di eseguire correttamente le prestazioni dedotte. Tutto questo ha creato naturalmente un vulnus economico che avrà un impatto terrificante nella prossima ripresa economica.

Sicché, i market players più avveduti, in ragione di tale pandemia, hanno fatto ricorso alle cosiddette clausole di forza maggiore (force majeure). Naturalmente non tutti gli operatori economici hanno pattuito tale clausola per divincolarsi dai vari rapporti contrattuali. Ma la quaestio juris che sorge spontanea sul punto è del seguente tenore: quale è la sorte di un contratto sprovvisto di tale clausola? Ed ancora, cosa succede se l’eventuale controversia dovesse essere decisa da corti vicine alla tradizione giuridica di common law?

Per quanto riguarda il nostro sistema giuridico, la questione è di facile risoluzione in quanto, anche se le parti non prevedono alcuna clausola di forza maggiore gli articoli 1256 ss. e 1463 ss c.c. assicurano che l’evento rilevi anche se non previsto nel regolamento contrattuale. Ed infatti, l’articolo 1256 c.c. dispone che: “l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla“. Sulla stessa lunghezza d’onda si pone la disposizione di cui all’articolo 1463 c.c. ed infatti: “nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

Pertanto, più interessante è l’esame di come la stessa situazione sia vissuta in ordinamenti di common law in quanto cruciali nel mondo del commercio internazionale. Ciò in quanto, in determinate aree del commercio internazionale è da prassi assoggettare il contratto alla legge dei paesi di common law, come è da prassi inserire clausole di deferimento alle corti anglo-americane la risoluzione di possibili controversie, sebbene nessuna delle parti stipulanti abbia legami con il diritto tipico dei paesi di common law. Anche quando le parti optano per un arbitrato, poi, è possibile che la scelta dell’istituzione arbitrale cada su organizzazioni vicine alla tradizione giuridica di common law (es., la London Court of International Arbitration o l’Hong Kong International Arbitration Center). Scegliere una legge regolatrice del contratto estranea alla common law, in questi casi, non elimina il rischio che il giudice o l’arbitro si affidi comunque ad essa per definire l’eventuale contenzioso. Il mondo del commercio internazionale, infatti, è caratterizzato da fonti normative varie e non sempre radicate in un preciso ordinamento statuale (es., principi UNIDROIT) (Cfr. art. pubblicato sulla rivista Pluris di Omar Vanin).

Gli ordinamenti di common law conoscono la disciplina giuridica della “force majeure”. Tale disciplina è stata recepita dalla tradizione giuridica propria degli ordinamenti di civil law. Sebbene i sistemi di common law conoscano tale disciplina, la stessa non è prevista da nessuna disposizione normativa, bensì viene utilizzata nella prassi commerciale per determinare ex ante le circostanze che rendono impossibile l’esecuzione della prestazione dedotta nel contratto. Pertanto, si tratta di un modello di clausola e non di una norma di legge. Caratteristiche essenziali della clausola di force majeure solitamente adottata nel commercio internazionale sono: 1) sopravvivenza del contratto: l’evento che rende impossibile la prestazione, di regola, comporta solamente l’assenza di responsabilità del debitore, paralizzando la domanda risarcitoria del creditore, ma lascia salve le altre tutele contrattuali (es., azione di riduzione del prezzo o esecuzione di una prestazione alternativa, etc.). Questa è la disciplina che troviamo, ad es., nell’Art. 79 della Convenzione di Vienna sulla Vendita Internazionale di Merci; 2) onere di invocare l’impossibilità: spetta al debitore comunicare al creditore l’impossibilità di adempiere e, se del caso, eccepire la circostanza in giudizio. L’inerzia del debitore comporta l’irrilevanza dell’evento nel rapporto contrattuale; 3) concetto “malleabile” di impossibilità: non solo le parti possono accordarsi su cosa costituisca una causa di forza maggiore, ma la stessa definizione include sia situazioni in cui l’esecuzione della prestazione è materialmente impossibile, sia circostanze ove l’esecuzione è nella sostanza inattuabile, per quanto fisicamente possibile (l’Art. 79 della Convenzione richiamata, non a caso, parla di semplice “impedimento”).

Ma cosa accade se vi è un adempimento per impossibilità non imputabile al debitore in assenza di “force majeure clause” nei sistemi di commono law? A tal proposito bisogna introdurre il concetto di “frustation” del contratto.

A differenza di quanto accade nell’ordinamento italiano e, in generale, nei sistemi di civil law, in mancanza di una force majeure clause le corti anglo-sassoni non possono ricorrere alla disciplina del concetto individuata dalla legge. Esse, piuttosto, ricorreranno alla dottrina della frustration, emersa per attenuare la rigidità assoluta con cui, altrimenti, si valuterebbe la diligenza del debitore nell’adempiere l’obbligazione. Secondo questa dottrina, il contratto è “frustrato” se una delle obbligazioni assunte non può essere adempiuta per un sopravvenuto mutamento di circostanze che rende l’esecuzione della prestazione radicalmente diversa rispetto all’impegno originariamente assunto (Davis Contractors Ltd. v. Fareham U.D.C. [1956] A.C. 696) (Cfr. art. pubblicato sulla rivista Pluris di Omar Vanin).

La dottrina è recepita nel diritto statunitense, dove prende il nome di “impracticability”, limitando la frustration pura alle sole situazioni in cui, sebbene il debitore possa in teoria ancora adempiere, l’esecuzione della prestazione sarebbe inutile per il creditore, alla luce delle mutate circostanze. Nella ricostruzione statunitense, quindi, gli effetti della frustration assomigliano a quelli che si manifestano, secondo il diritto italiano, quando il contratto si estingue per venire meno della causa in concreto, intesa come interesse del creditore all’adempimento dell’obbligazione (in tema, Cass. 29 marzo 2019, n. 8766).

Ma quali sono gli effetti della frustration sul contratto? In primo luogo il contratto si estingue al verificarsi dell’evento che impedisce l’adempimento sicché, il creditore non solo non potrà domandare il risarcimento a fronte della mancata esecuzione della prestazione, ma non avrà alcun altro rimedio che permette di tenere in vita il contratto. In secondo luogo, la frustration implica una realizzazione ex re degli effetti del contratto sicché, il rapporto si estingue ex lege ed il debitore non è tenuto ad invocare l’impossibilità ad adempiere poiché beneficerà dell’estinzione automatica dell’obbligazione. Inoltre la frustration implica un concetto abbastanza rigido di impossibilità posto che solo gli eventi che impediscono la materiale esecuzione della prestazione possono frustrare il contratto.

In generale, il contratto non è “frustrato” se: 1) l’adempimento dell’obbligazione diviene semplicemente più oneroso o costoso; 2) l’impossibilità ad adempiere è dipesa dal comportamento di una delle parti; 3) l’evento impeditivo era prevedibile o, come visto, se le parti hanno stipulato una force majeure clause (Jackson v Union Marine Insurance [1873] LR 10 CP 125).

Considerata la maggiore rigidità della frustration rispetto alla force majeure, è lecito chiedersi se essa possa applicarsi nelle situazioni in cui l’esecuzione della prestazione, pur materialmente realizzabile, divenga solo giuridicamente impossibile. In altri termini, i provvedimenti dell’Autorità che vietano l’esecuzione della prestazione – come quelli di sospensione delle attività imprenditoriali non essenziali adottati dal Governo italiano con il D.P.C.M. 22 marzo 2020 – possono “frustrare” il contratto? (Cfr. art. pubblicato sulla rivista Pluris di Omar Vanin).

La risposta è affermativa. Molti precedenti delle corti di common law hanno sancito che il contratto è “frustrato” se la prestazione da eseguire diviene illegale successivamente alla conclusione del contratto (Denny, Mott & Dickson v James B Fraser & Co Ltd [1944] AC 265). Questo, anche se la prestazione rimane legalmente eseguibile secondo la legge applicabile al contratto, ma diviene illegale solo per la legge del luogo in cui la prestazione deve essere eseguita (Ralli Brothers v Compania Naviera Sota y Aznar [1920] 2 K.B. 287).

Conclusioni

Pertanto, nelle relazioni commerciali internazionali i market players devono essere più avveduti (soprattutto quando si rischia di deferire il contenzioso a corti o collegi arbitrali di tradizione di common law) nel definire, all’interno del rapporto contrattuale, clausole di forza maggiore, cercando di elencare in modo dettagliato tutte le circostanze che innescano tale tutela in modo tale da evitare la più rigida disciplina della frustration.

Dr Maurizio Muto – Junior Trainee Lawyer – Studio Legale Associato Lacava Spina

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